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Il carnevale siciliano

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È finalmente giunto il carnevale, fonte di divertimento e spensieratezza da generazioni.
Mascheramenti, coriandoli, balli, carri fanno da cornice a giorni pieni di colore, folklore e ricette tipiche.
Una festa ricca di storia, di cui la Sicilia, come spesso accade, ne è protagonista. Nella terra sicula, infatti, tra le ricorrenze più note troviamo quelle di Acireale e Misterbianco (in provincia di Catania); di Termini Imerese e Cinisi, nel palermitano; di Modica, nel ragusano e di Saponara nel messinese.
Celebrazioni dalle origini antiche, secondo le prime notizie storiche certe risalirebbero almeno al XVI secolo.

Sappiamo anzitutto che la parola “carnevale” deriva dal termine latino carnem levare (togliere la carne) per indicare il banchetto che si teneva l’ultimo giorno di carnevale, il Martedì Grasso che precedeva il periodo di astinenza e digiuno dettato dalla quaresima. Ricordiamo, infatti, che per 40 era vietato il consumo di carne.
Questa festa nonostante sia legata al mondo cristiano ha però radici ben più lontane, trae infatti origine dai Saturnali dell’antica Roma o, ancora prima, alle feste dionisiache del periodo classico greco. Durante queste celebrazioni pagane era lecito liberarsi da obblighi e impegni, ricchi e poveri, diventati irriconoscibili grazie alle maschere che indossavano, potevano dedicarsi allo scherzo e al gioco dimenticandosi di ogni differenza sociale. Solo al termine della festa l’ordine veniva ristabilito all’interno della società. Da qui infatti la famosa locuzione “una volta l’anno è lecito impazzire”

Le maschere, che come citato prima derivano da tradizioni pagane, sono certamente ciò che caratterizza maggiormente la ricorrenza, molte di queste nascono proprio sulla nostra isola: prima fra tutti la maschera di Peppe Nappa, originaria di Sciacca. Il costume è caratterizzato da un ampio abito azzurro, da un capellino di feltro bianco e un viso senza trucco, il personaggio che danza, salta e ama mangiare ricorda molto il Pulcinella napoletano.

Celebri anche le due maschere “U Nannu cà Nanna” di Termini Imerese (a Palermo), pervenute nella provincia ai primi dell’800 attraverso alcune famiglie napoletane. Il carnevale di Termini Imerese si apre proprio con la consegna a “u nannu ca’ nanna” delle chiavi della città da parte del sindaco. Nello specifico “U nannu” è un personaggio bassino e gioviale che lancia coriandoli e confetti invitando tutti a ballare; viene poi condannato al rogo alla mezzanotte del martedì precedente le ceneri segnando coì la fine del periodo di allegria. “A nanna” invece è una donna magra e alta che simboleggia il dolore e la penitenza della Quaresima. Da citare ancora in provincia di Palermo, il particolare Mastro di Campo, a Mezzojuso; i Riavulicchi, a Corleone, figure demoniache, ricoperte di campanelli e campanacci; Zuppiddu e Dominò, di Bisacquino, il primo un contadino con coppola e bastone che tiene in mano un uovo e un grillo; il secondo, invece, indossa una tunica e un cappuccio in testa.

Un’altra maschera famosa è l’Abbatazzu (o Pueta Minutizzu) tra le prime in uso ad Acireale: si trattava di un personaggio pronto a prendersi beffa persino dell’allora Abate-Vescovo di Catania, Monsignor Michelangelo Bonadie. Ancora nel territorio acese troviamo Manti e Domino: I Manti, coperti da grossi mantelli di seta nera, che celavano l’identità, furono paragonati ai Bautta veneziani. La figura fu poi sostituita nel tempo dal Domino, simile ai Manti ma con vesti meno ricche. Il costume fu poi bandito per motivi di pubblica sicurezza nei primi anni del XX secolo, poiché alcuni malviventi usavano travestirsi per poi confondersi tra la folla intenta a festeggiare il carnevale, dopo aver compiuto delitti.