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TEATRO

Haber ha dato magistralmente vita a Zeno, al Teatro Biondo di Palermo

Alessandro Haber ha incantato il pubblico siciliano con "La coscienza di Zeno", andato in scena al Teatro Biondo di Palermo, dal 17 al 22 dicembre 2024.
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Non importa quanto la giornata possa essere gelida, perché una volta messo piede in sala un tepore ti avvolge. Mentre gli occhi sono rapiti ancora una volta dal velluto rosso del sipario, senti il classico brusio diffuso tra platea e galleria che sa di curiosità, giudizi e aspettative. Ti siedi sulla morbida poltrona che ti spetta, ti guardi intorno. Ad un tratto le luci si abbassano e tutti i tuoi sensi vengono catturati dal palcoscenico, che di lì a breve racconterà una storia che ancora non sai essere la tua.

Alessandro Haber: tra Zeno e Italo Svevo

“La coscienza di Zeno,” romanzo scritto da Italo Svevo nel 1923, ha preso forma con Alessandro Haber al Teatro Biondo di Palermo dal 17 al 22 dicembre 2024, nell’adattamento di Monica Codena e Paolo Valerio, con la regia di Paolo Valerio. Ciò che Haber ha narrato sotto i panni di Zeno e, ancora più in profondità, sotto quelli di Italo Svevo, non è altro che il catalogo dei vizi a cui l’uomo è inesorabilmente ancorato, ma che allo stesso tempo costringono quest’ultimo ad esplorare se stesso, tramite quel grande occhio proiettato sul sipario a inizio e fine esibizione.

Un occhio che ci scruta e che al contempo noi scrutiamo, che ci costringe a scendere negli abissi non solo della nostra umanità, ma anche in quella di coloro che ci circondano. Seneca affermava che, chi più chi meno, tutti gli uomini sono schiavi dei vizi e pertanto conservi, cioè “compagni di schiavitù”; sarà proprio questa condizione a spingerci ad approfondire l’altro ed arrivare quasi a specchiarcisi, come accade a Zeno e Guido? O è piuttosto la ricerca di un conforto che poi però risulta inevitabilmente vano?

Un viaggio tra memorie e riflessioni

Il protagonista riattraversa per intero la sua vita mentre la trascrive su indicazione del proprio psicanalista, il quale è di fatto lo stesso a pubblicare le memorie del paziente, così il racconto delle vicende e delle sensazioni passate continua a coinvolgerlo fino ad immergersi nuovamente all’interno della storia, interagendo in circostanze e con persone che tutt’ora, a distanza di tempo, pizzicano ancora le corde della sua anima, seppur egli stesso si definisca un verme. In questo modo, le tonalità tenui e grigie che dominano la scena attraverso i costumi, la scenografia e il fumo che continua ad aspirare al di là delle buone intenzioni fanno sì che Zeno strisci tra il monocromatismo della propria vita, in equilibrio sui confini dell’esistenza.

Una frase precisa risuona, contornata dagli applausi incontrollati del pubblico quando Haber l’ha pronunciata: “Le cose di cui nessuno sa e che non lasciarono delle tracce non esistono”. È davvero così? Dunque non importa l’universalità di un sentimento, poiché, se non è reso pubblico, diviene privo della concezione dell’essenza?
A parte l’estrema contemporaneità della tematica, è un concetto di complicata metabolizzazione, ma di fatto reale. Ed è esattamente per questo che Zeno scrive, tra racconti e promesse non mantenute nella speranza di un’improvvisa guarigione egli mostra la sua interiorità e la rende esperienza tangibile, e una volta trasposta sul palco, tutti, in un modo o nell’altro, in quell’atmosfera mistica e a volte necessariamente scomoda del teatro, avvertono una scintilla di appartenenza, tutti, in quel momento, siamo consapevoli di esistere.