ROMA – La battuta d’arresto arrivata in Commissione Giustizia sul testo che introduce il principio del consenso libero nelle norme contro la violenza sessuale ha scatenato un acceso dibattito politico, destinato a rimbalzare per giorni dentro e fuori il Parlamento. A denunciarne con forza la portata ritenuta “inaccettabile” è la senatrice di Italia Viva, Dafne Musolino, che bolla quanto accaduto come “un grave segnale di irresponsabilità istituzionale, tanto più nella giornata dedicata alla lotta contro la violenza sulle donne”.
Nelle ultime ore il provvedimento, già approvato all’unanimità alla Camera e accompagnato da una stretta di mano tra la presidente del consiglio Giorgia Meloni e la segretaria del Pd Elly Schlein ha subito uno stop. Un rallentamento che secondo la parlamentare messinese non sarebbe dettato da “reali esigenze giuridiche, ma da un regolamento di conti tutto politico interno al centrodestra”.
Il nodo politico, mediazione fallita e muro della Lega
Secondo Musolino, il richiamo alla necessità di ulteriori approfondimenti, avanzato in aula dalla presidente della commissione giustizia Giulia Bongiorno, sarebbe “una foglia di fico”. Una motivazione formale che, a suo dire, nasconderebbe un regolamento di conti all’interno della coalizione di governo. “La mediazione tentata dal presidente Ignazio La Russa, per procedere a un esame in sede redigente si è infranta contro il muro eretto dalla Lega, poi seguito dagli alleati”, osserva la senatrice.
Una riforma attesa, pene più severe e recepimento della Convenzione di Istanbul
La proposta di legge definita dalla senatrice “un testo di civiltà” introduce un principio cardine già presente nella normativa di molti Paesi europei, la centralità del consenso esplicito. Il provvedimento prevede pene comprese tra 6 e 12 anni e libera la persona offesa dall’onere di dover dimostrare la propria resistenza fisica all’aggressione, allineando così l’Italia ai parametri stabiliti dalla Convenzione di Istanbul. Un passaggio considerato fondamentale dalle associazioni che si occupano di violenza di genere e dagli operatori del settore giudiziario, che da tempo invocano una riforma chiara, capace di eliminare ambiguità interpretative e ritardi nella tutela delle vittime.
Secondo la senatrice, lo stop rappresenta una scelta che, sul piano politico, peserà a lungo: “Il Senato ha dimostrato che l’interesse elettorale prevale sulla responsabilità istituzionale. È un comportamento che non trova giustificazione alcuna, soprattutto davanti a un provvedimento che aveva già ottenuto un consenso trasversale”.
In attesa di sviluppi
La riforma resta dunque ferma, in attesa che la Commissione Giustizia torni ad affrontare il testo. Nel frattempo, lo scontro tra maggioranza e opposizioni si è acceso ulteriormente, con Italia Viva e le altre forze di minoranza che chiedono di ricondurre la discussione su un piano di serietà istituzionale e di rispetto per un tema che continua a segnare drammaticamente la cronaca nazionale. Per Musolino, la priorità resta chiara: “Rimettere al centro le donne, la loro sicurezza e la loro dignità. Ogni ulteriore ritardo ha un costo sociale altissimo, che il Paese non può più permettersi”.
