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Messina, la memoria che fonda il futuro: la città ricorda le vittime del terremoto del 1908

Nel luogo simbolo di Largo 28 Dicembre 1908, la commemorazione ufficiale richiama storia, ferite e rinascita della città dello Stretto

MESSINA – Nel silenzio composto di Largo 28 Dicembre 1908, alle spalle del Campanile del Duomo dedicato alle vittime del sisma, Messina si è raccolta attorno alla propria memoria più profonda. Qui, nello spazio che la città ha voluto consacrare alla coscienza collettiva, si è svolta la cerimonia ufficiale di commemorazione delle vittime del terremoto del 28 dicembre 1908, dei superstiti e degli orfani, un appuntamento ormai istituzionalizzato che ogni anno rinnova il legame tra passato e responsabilità presente.

Alla presenza del sindaco Federico Basile, degli assessori Enzo Caruso e Massimiliano Minutoli, di rappresentanti della deputazione nazionale e regionale messinese e delle autorità civili, militari e religiose, la città ha reso omaggio a una delle pagine più drammatiche della sua storia. La deposizione della corona d’alloro, l’esposizione del Gonfalone della Città e il Silenzio d’ordinanza, eseguito dalla Brigata “Aosta”, hanno scandito un momento di raccoglimento intenso e condiviso, nel segno di una memoria che non si limita al rito ma interroga il presente.

Il luogo, la legge, il senso della memoria

Il cuore simbolico della cerimonia è stato il richiamo al significato stesso di Largo 28 Dicembre 1908. Davanti alla colonna votiva eretta dal Comune nel 1958 per il cinquantesimo anniversario del sisma, il sindaco Federico Basile ha ricordato il percorso che ha condotto all’intitolazione ufficiale di quest’area, resa possibile dalla legge regionale istitutiva della “Giornata del Terremoto”, proposta dall’onorevole Antonio De Luca. Un lavoro condiviso – ha sottolineato – tra Amministrazione comunale, Commissione toponomastica, Storia Patria, Messina Sacra, Soprintendenza e Prefettura, per dare un nome e un senso a uno spazio che oggi porta inciso il ricordo “alle vittime, agli orfani e a coloro che non fecero più ritorno”.

Da quel punto, la memoria si è fatta racconto netto e doloroso. “28 dicembre 1908. Ore 5.21. Un boato tremendo, assordante, sordo. Trentadue secondi dopo la città di Messina era in macerie”. Una sequenza scandita, quasi scolpita, che restituisce la misura di un evento capace di spezzare il tempo e la storia.

La città cancellata e l’eco della poesia

Il terremoto, seguito dal maremoto, fu un’ecatombe: circa sessantamila morti, il più tragico disastro naturale in Europa per numero di vittime. Una città annientata, una popolazione costretta all’esodo, migliaia di persone che non fecero più ritorno, tra cui un numero incalcolabile di bambini rimasti orfani. Con l’incendio dell’anagrafe comunale andarono perduti identità, alberi genealogici, titoli di proprietà, legami familiari: una cancellazione che non fu solo materiale ma anche civile.

Nel suo intervento, il sindaco ha evocato le parole di Giovanni Pascoli, che seppe cogliere l’essenza di quella distruzione totale: “Tale potenza nascosta, donde s’irradia la rovina e lo stritolio, ha annullato qui tanta storia, tanta bellezza, tanta grandezza. Ma ne è rimasta come l’orma nel cielo, come l’eco nel mare. Qui, dove è quasi distrutta la storia, resta la poesia”. Una citazione che restituisce dignità al dolore e affida alla cultura il compito di custodire ciò che la materia ha perduto.

Il richiamo ai versi del poeta egiziano Hâfiz Ibrâhîm ha ampliato ulteriormente lo sguardo, restituendo l’immagine di una città in cui era “svanita ogni incomparabile bellezza, chiusa ogni impresa, sbiadita ogni immagine, spento ogni pensiero, taciuto ogni canto”. Parole che raccontano non solo la rovina fisica, ma il silenzio che segue le grandi catastrofi.

Solidarietà, ricostruzione e ferite successive

Eppure, da ogni parte del mondo, sulle rive dello Stretto arrivarono aiuti, volontari, soccorritori. La tragedia di Messina divenne anche un esempio straordinario di solidarietà internazionale e di impegno umano, prima nell’emergenza e poi nella ricostruzione. Una rinascita tutt’altro che scontata, perché la città, in quel frangente, avrebbe potuto essere ricollocata altrove. Fu il sentimento popolare a imporre la scelta di restare, di ricostruire lì dove tutto era crollato.

Nel solco di questa riflessione si inserisce il richiamo al pensiero del professor Francesco Mercadante, che invitava a leggere il terremoto del 1908 tenendo insieme “le due polarità del deserto delle rovine, alla quota zero della vita da una parte, e del volume delle integrazioni dall’altra”. Una chiave di lettura che consente di comprendere Messina come città più volte ferita: dal sisma del 1793, dal 1908, dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale, fino ai “graffi e agli sfregi della scempiaggine, della miopia, dell’insipienza degli uomini e delle amministrazioni locali”.

Dalla memoria al domani

Il discorso del sindaco si è chiuso con uno sguardo fermo sul futuro, affidato a una riflessione che lega memoria e responsabilità. “Noi, pur nella consapevolezza che ‘la lotta dell’uomo contro il potere è la lotta della memoria contro l’oblio’, non intendiamo lasciarci sopraffare dalla nostalgia di fotografie di ieri, ma coltiviamo l’ambizione – nella visione e nell’azione, alta e ferma, scrupolosa e coraggiosa, tra risanamento e rinascimento – di riconsegnare Messina al suo domani, alla sua nobiltà. Una città pronta alle disfide del futuro. Una città protagonista”. Parole che trasformano la commemorazione in impegno civile.