TAORMINA – Ci sono momenti in cui il tempo sembra fermarsi e la parola cinema, se vissuta attraverso le parole di chi ne ha ridefinito le regole, restituendole amore ed un’eredità densa di significato, può diventare memoria, voce, verità e condivisione. Pochi i personaggi capaci di lasciare il proprio pubblico attonito, di mantenere gli animi dell’attesa vivi e di continuare sorprendere, a discapito di una carriera che non ha bisogno di presentazioni. Questa l’occasione offerta e vissuta all’interno della masterclass del Taormina Film Festival, con il grande maestro del cinema Martin Scorsese, uno degli ospiti più attesi della 71esima edizione.
Commosso ed entusiasto il pubblico della sala del Palazzo dei Congressi, composto da appassionati, giovani studenti, aspiranti registi, giornalisti e fotografi, ha accolto l’ingresso del regista con una lunga standing ovation trasmettendogli tutto l’entusiasmo ed il calore della sua terra, la Sicilia.
Un’intensa conversazione a tu per tu, in cui il maestro non ha semplicemente raccontato la sua carriera, ma aperto il suo cuore, condividendo la fede, i fallimenti, i monti d’ascesa, i sogni nati tra le polverose sale dell’East Coast ed i ricordi delle sue radici siciliane.
L’inizio di un amore: dall’asma infantile alla macchina da presa
Il viaggio attraverso i racconti del maestro, cominciano dallo Scorsese bambino, dai ricordi d’infanzia vissuti nell’east coast: “Soffrivo d’asma, i miei genitori non sapevano dove portarmi se non al cinema”, ha esordito. Una scelta quasi profetica quella della famiglia, indubbiamente pionera della prospera carriera scorsesiana. “Era il 1947, i film erano prettamente post-bellici parlavano di dolore, ricostruzione e realtà. Ho anche guardato tanti film inglesi ed italiani in Tv, ma ho allo stesso tempo passato moltissime giornate semplicemente a guardare fuori dalla mia finestra, infondo anche quello può essere un buon passatempo per interpretare la realtà”, ha aggiunto il regista.
Tra i primi registi ad affascinarlo, Scorsese ha ricordato John Ford e Howard Hawks: “A 14 anni scoprì un cinema di quartiere ed in quelle sale passai tantissime ore affascinato dai film western, erano quelli maggiormente proiettati, completamente catturato dai personaggi cult dei due registi”, ha spiegato raccontando la sua passione per il genere western. “La prima volta che mostrai a mia figlia un film di Hawks aveva 12 anni e ricordo che ne restò piacevolmente stupita al punto da dirmi che meritava un Oscar, ma le spiegai che ad Hollywood non basta presentare un buon film per vincere”, ha rivelato il cineasta.
La vocazione mancata e la fede nel racconto
Curiosamente, prima del cinema, Scorsese ha rivelato di aver pensato al sacerdozio: “Provengo da un quartiere di Manhattan estremamente cattolico, avevo intrapreso il seminario, ma poi ho capito di non aver ricevuto quella chiamata. La vera vocazione era altrove”. La sua fede, però, è rimasta un punto cardine nella sua vita e nella sua cinematografia: “Il cinema e la religione sono i due pilastri della mia vita. Entrambi mi permettono di ricercare la verità. Nei miei film, la spiritualità emerge nel conflitto tra redenzione e perdizione dei personaggi”.
Dall’università a Shadows: la scintilla della regia
Durante gli anni alla New York University, dove ebbe come mentore il grande Haig Manoogian, capì che voleva diventare regista: “Ai miei tempi eravamo solo in 30 studenti ed io ero completamente ossessionato da Manoogian esattamente quanto lui lo era dal cinema, ecco perchè ha rappresentato per me un enorme fonte di ispirazione”, ha spiegato.
Continuando a ricordare gli anni dell’università Scorsese ha aggiunto: “Furono anni meravigliosi quelli, era l’era della new wave del cinema italiano, guardavamo Paisà, Ladri di biciclette. Poi arrivò il cinema francese, polacco, giapponese, ecc…Tutti questi generi ci permettevano di avere accesso al mondo. Quella attuale è un’epoca completamente differente. Il cinema è molto più accessibile, i film vengono girati in tutto il mondo… è addirittura possibile farlo con un telefonino”.
Provvidenziale per la sua carriera fu il film Shadows di Cassavetes: “La mia idea di diventare regista è nata da tutti questi film che vedevo con i miei genitori, questo mi emozionava. Ma non avrei mai immaginato di diventarlo davvero, dopotutto i film si facevano in California. Poi ho visto Shadows di Cassavetes, dimostrava che si poteva fare cinema anche fuori da Hollywood. Io, ragazzo dell’East Coast, capii quindi che era possibile”.
Il legame con gli attori: verità e libertà
Rispondendo alla curiosità del suo pubblico di scoprire il rapporto tra il regista e gli attori all’interno del set, Scorsese ha rivelato come la forza di un buon film risieda nella sinergia autentica tra entrambi i ruoli: “Non voglio che gli attori recitino per me, ma con me. In Goodfellas e Casinò abbiamo scritto copioni solidi, ma ho lasciato spazio all’improvvisazione, a quella che è la verità. Quando si lavora con artisti come De Niro, DiCaprio, Joe Pesci o Jodie Foster, c’è un’intesa profonda perchè sanno come guardarsi dentro e superare il cliché. Io sono alla costante ricerca dell’autenticità e amo chi sà apparire al naturale sul grande schermo. Il dialogo sul set deve essere familiare, perchè è dalle conversazioni con la mia famiglia e con i miei amici che nasce la mia scuola”.
Taxi Driver e la colonna sonora del destino
Parlando del capolavoro del 1976, che verrà proiettato durante la terza serata del Film Festival, il cineasta ha raccontato: “Taxi Driver nasceva come scommessa. Nessuno sapeva che impatto avrebbe avuto sul pubblico. Io l’ho fatto perché amavo il soggetto scritto da Paul Schrader e De Niro. La musica per me era fondamentale in questo film ed io traevo molta ispirazione dalle scelte musicali di Hitchcock, per questo desideravo una colonna sonora sbagliata per l’attore sbagliato, così contattai il compositore Bernard Herrmann che venne appositamente in America per lavorarci. Morì la notte stessa in cui concluse il lavoro. Fu un dono”.
La sfida dell’AI e il futuro del cinema
Sull’uso dell’intelligenza artificiale nel mondo cinematografico, Scorsese si è mostrato cauto: “Non saprei come usarla. Capisco che può semplificare il lovoro, ma io preferisco girare sul posto, vivere i luoghi”. La sua visione resta ancorata a un’idea fisica e tattile del cinema: “Serve la fatica, la presenza. Io ho bisogno del sopralluogo, anche per contrastarlo”.
La Sicilia nel cuore di Scorsese
Con emozione ha ricordato le sue radici siciliane: “Amo la Sicilia, vengo da Polizzi Generosa, mia madre era di Ciminna”, per poi rivelare un’anteprima esclusiva: “Sto cercando di raccontare le mie origini in un film. È un progetto a cui tengo molto”.
Resilienza e rinascita, la lezione più grande
Il regista prima di concludere la masterclass ha poi invitato i giovani presenti a non rinunciare mai ai propri sogni raccontando e rivelando i lati più intimi, difficili e personali della sua carriera: “Dopo New York, New York ho avuto un crollo e ho dovuto prendere un pausa, ma poi è arrivato Toro Scatenato”. “Negli anni ’80 la 20th Century Fox ha disdetto il mio contratto, ma non sarei qui se non avessi perseverato. Non dovete mai mollare, nemmeno quando vi tolgono tutto. Ritrovare la fiducia in voi stessi è un dovere, ricordatelo sempre”.